Il marchio patronimico è il marchio costituito da nome e cognome o solo da cognome (es. Alberta Ferretti, Fendi).
Per approfondire la conoscenza delle denominazioni dei marchi, vi consigliamo la lettura “Tipi di marchio: definizioni e caratteristiche”.
In questo articolo parliamo di:
In Giurisprudenza, nel giudizio di comparazione tra due marchi patronimici, è attribuito maggior peso al cognome rispetto agli altri elementi costitutivi dei marchi. Di norma, la parola o le parole che formano il patronimico costituiscono il cuore del marchio.
Andiamo a vedere alcuni casi specifici trattati dalla Cassazione.
La Corte di Cassazione ha ribadito più volte che:
“In caso di marchio patronimico, l’aggiunta di un qualche elemento ulteriore non vale, di per sé, a conferire il requisito della novità-distinguibilità ad un secondo marchio contenente il medesimo patronimico”.
È stata così affermata l’illegittimità dell’uso del patronimico come marchio, anche se accompagnato da elementi differenziatori, sempre che il marchio patronimico successivo venga utilizzato nella stessa classe merceologica rispetto al marchio patronimico preesistente.
(Cass.22.04.2003 n.6426, Cass.26.08.2004 n.17004; Cass.29.12.2011 n.29879, cass.14.03.2014 n.6021; Cass.4.02.2016, n.2191).
Questo principio, tuttavia, non deve essere dato sempre e necessariamente per scontato in presenza di marchi composti da altri elementi (figurativi o verbali) oltre al patronimico. Vediamo perché esaminando alcune sentenze al riguardo:
Marchio patronimico: il caso Coccoli
La prima sezione della Cassazione Civile (sentenza n.22033/2016, pubblicata il 31 ottobre 2016) mette in luce come, anche in presenza di marchi patronimici, occorra valutare tutte le circostanze del caso avallando quanto disposto in materia dalla Corte territoriale competente.
Nello specifico, la Corte territoriale competente aveva negato la contraffazione del marchio patronimico “Calze Coccoli” (laddove “Coccoli” era il cognome del fondatore della omonima società) da parte del marchio “Coccoli di Melby”, in quanto aveva ritenuto che
“il cuore del marchio non si identificava con il patronimico “Coccoli”, giacché, in effetti, il marchio era composto da due parole, “calze” e “Coccoli”, inserite in un cerchio al cui centro era disegnata la testa di un cane Breton, ed il termine “Coccoli” era generico…di modo che il proprium del marchio finiva piuttosto con l’identificarsi con la combinazione del vocabolo “calze” con l’immagine di morbidezza e comfort che era richiamata dal disegno dell’animale…”.
La Cassazione evidenzia, quindi, come la Corte territoriale competente abbia valorizzato l’effettiva peculiarità del caso, considerando anche che
“il dato differenziale contenuto nel secondo marchio, “di Melby”, lungi dal presentarsi quale elemento differenziatore di puro contorno, possedeva una cospicua attitudine connotativa, giacché sottolineava una tratto fantasioso ed immaginifico assente nell’altro marchio, suggerendo che i “coccoli”, ossia i bimbi – riferendosi il marchio “Coccoli di Melby” ad una linea di vestiario per neonati-bambini – provenissero o appartenessero ad un luogo fiabesco, o si identificassero con un personaggio favoloso, aspetto, quest’ultimo, accentuato dalla rappresentazione grafica della parola “Melby” in lettere colorate a sfondo a tinte vivaci”.
In conclusione, nell’opinione della Corte di Appello, i due marchi non potevano ritenersi confondibili.
Marchio patronimico nel settore vino: il caso Castella
La prima sezione della Cassazione Civile, a proposito di Marchio patronimico settore vino, con sentenza n.2191 del 4 febbraio 2016, ha confermato la sentenza n.544/2010 del 19 aprile 2010 della Corte di Appello di Torino, che aveva affermato il principio – in materia di marchi del settore vitivinicolo – secondo il quale
“l’uso di un marchio contrassegnato da identico cognome, accompagnato da diverso nome di battesimo e dalla raffigurazione delle colline langarole, non è suscettibile di integrare contraffazione del marchio anteriore con identico cognome ma diverso prenome”.
Nel caso che ha dato origine alla pronuncia in esame, la signora Claudia Castella, titolare di un marchio italiano “Castella”, depositato il 5 maggio 2003 per contraddistinguere vini, aveva convenuto in giudizio il signor Renzo Castella, contestando l’uso del marchio “Renzo Castella”, anch’esso utilizzato per contraddistinguere vini.
La contestazione della signora Castella si basava sull’identità dei due cognomi e sul fatto che, secondo opinione costante della giurisprudenza, l’elemento distintivo dominante dei marchi patronimici deve essere ravvisato proprio nel cognome.
Mentre il Tribunale di Torino accoglieva l’istanza della signora Castella, la Corte di Appello di Torino la respingeva.
La Corte di Cassazione ha ritenuto che la Corte di Appello, pur non disconoscendo il principio che il cuore dei marchi patronimici risiede nel cognome, ha operato una valutazione del caso concreto e ha ritenuto insussistente la violazione del marchio della signora Claudia Castella in quanto il signor Renzo Castella aveva
“fatto uso del cognome “Castella” preceduto dal prenome “Renzo” ed accompagnato dal disegno – del tutto assente nel marchio registrato da Claudia Castella – delle colline langarole”.
La Corte di Cassazione ha osservato come la Corte di Appello ha affermato
“citando ad esempi diversi casi verificatisi nella medesima area albese, alla quale appartengono le produzioni di entrambe le parti in causa – che nello specifico settore vitivinicolo è frequente la presenza di imprese, commercializzanti lo stesso prodotto, facenti capo a soggetti pressoché omonimi e che utilizzano il proprio nome come ditta o marchio. Sicché, avendo – nello specifico settore produttivo in questione – il patronimico una minore valenza distintiva, l’aggiunta del prenome al cognome, in specie se accompagnato da ulteriori elementi descrittivi (come, nel caso concreto, le colline langarole), è sufficiente ad escludere la confondibilità dei segni distintivi delle diverse aziende”.
La Corte di Cassazione ha ritenuto che la Corte di Appello non sia incorsa nel vizio di motivazione ed ha, pertanto, confermato la decisione resa dalla Corte di Appello di Torino.
Come potete desumere da quanto sopra riportato, l’interpretazione della giurisprudenza nei casi specifici può ribaltare i princìpi base. Vi suggeriamo pertanto di consultare sempre un professionista del settore che potrà suggerirvi possibili scenari rispetto alle vostre necessità o alle vostre problematiche.
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