Come caso di marchio denominativo costituito da parole straniere riportiamo la vicenda da cui trae origine la pronuncia della Cassazione (n.2405 del 9 febbraio 2015) che è sintetizzabile nei seguenti termini:
La società titolare del marchio registrato “SLIMMER”, usato per contraddistinguere un integratore alimentare con funzione dimagrante, aveva citato in giudizio un suo distributore che aveva iniziato a vendere un integratore alimentare contraddistinto dal marchio “SLIMMEX.
In questo articolo parliamo di:
Marchio con parole straniere: Il caso Slimmer
Nella vicenda, la convenuta si era difesa sostenendo la nullità del marchio SLIMMER in quanto costituito da una parola descrittiva e volgarizzata. La parola “SLIM” infatti (traducibile in italiano come “snello, magro, sottile”) doveva considerarsi altamente descrittiva delle funzioni del prodotto, (integratore con funzione dimagrante) in quanto le ulteriori sillabe che componevano la parola (cioè la parte finale della parola “MER,” usata in lingua inglese con funzione di comparativo di maggioranza, quindi “slimmer” è traducibile in italiano con “più magro” ) rappresentavano solo un suo comparativo e non potevano pertanto essere considerate un’aggiunta di fantasia idonea a caratterizzare in modo originale la parola.
Sia il Tribunale di Milano che la Corte di Appello di Milano avevano però accolto le domande della società titolare del marchio SLIMMER, riconoscendo la contraffazione attuata da “SLIMMEX”.
Come si è pronunciata la Cassazione sul caso Slimmer
La Cassazione in questa circostanza ribadisce quanto già precedentemente sostenuto (Cass. N. 1929/1998), ovvero che
“una parola di uso comune può costituire un valido marchio purché non abbia una funzione intrinsecamente descrittiva delle qualità del prodotto, ma sia collegata ad esso con un accostamento di pura fantasia che le attribuisca carattere originale ed efficacia individualizzante”.
Si specifica, tuttavia, che il criterio da seguire è rigoroso in quanto le parole di uso comune
“devono aver subito una modificazione tale da oscurare il loro originale significato linguistico, e siano divenute tali da designare, con forte individuazione, un nuovo prodotto, perché impiegate in senso arbitrario, fantastico, iperbolico, senza alcuna aderenza concettuale con l’oggetto che sono destinate a contraddistinguere”.
La Corte di Cassazione, inoltre, richiama la giurisprudenza comunitaria secondo cui
“non è vietata la registrazione in uno Stato membro, come marchio nazionale, di un vocabolo mutuato dalla lingua di un altro Stato membro, nel quale esso sia privo di carattere distintivo o sia descrittivo dei prodotti o dei servizi per i quali si chiede la registrazione, a meno che gli ambienti interessati nello Stato membro nel quale si chiede la registrazione siano in grado di individuare il significato di detto vocabolo”
(Corte di Giustizia UE, 9 marzo 2006, C-421/04).
Così, nel caso di specie, la Corte di Giustizia ha ritenuto perfettamente valido ed efficace il marchio spagnolo costituito dalla parola tedesca “MATRATZEN” (che in tedesco significa “materassi”), registrato per contraddistinguere materassi, cuscini e prodotti similari.
A questo riguardo la Cassazione specifica che i giudici dei precedenti gradi di giudizio non hanno risposto all’obiezione secondo cui la parola in questione non dovrebbe essere considerata descrittiva in ragione della limitata conoscenza della lingua inglese presso il pubblico italiano e sono in tal modo
“venuti meno al compito di accertare se l’espressione in lingua straniera utilizzata nel marchio “Slimmer” sia priva di capacità distintiva e meramente descrittiva nel territorio italiano in quanto costituente o divenuta parte del patrimonio linguistico comune in quel territorio”.
In altre parole, una parola che ha un significato descrittivo in una lingua straniera, non può essere automaticamente considerata descrittiva anche in italiano, a meno che non si provi che il pubblico italiano sia a conoscenza del significato che la parola straniera ha nella nostra lingua.
Alla luce di quanto sopra, la Cassazione ha accolto il ricorso della convenuta e ha stabilito che la Corte di Appello di Milano dovrà fare applicazione del seguente principio:
“Accertare il grado di diffusione e comprensione del significato della parola nel territorio nel quale è chiesta la registrazione del marchio; valutarsi come descrittivo il segno che presenti con il prodotto un nesso sufficientemente concreto e diretto, in quanto divenuto parte del patrimonio linguistico comune in quel territorio e quindi capace di richiamarlo in maniera diretta e immediata nella percezione di un consumatore medio normalmente avveduto e informato”.
Il caso Slimmer fa riflettere sulla vastità della materia che è necessario considerare e valutare quando si pensa a un marchio o a un logo.
Se desiderate confrontarvi con esperti del settore, lo Studio Legale dell’Avv. Eva Troiani è a vostra disposizione per un parere o per una consulenza.
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