La Corte di Giustizia Europea è intervenuta con la sentenza del 25 giugno 2015 (causa C-147/14) sulla questione riguardante la somiglianza tra marchi con parole arabe.
I marchi erano due marchi comunitari (ora marchi dell’Unione Europea), di cui si asseriva la violazione, e un marchio del Benelux.
Tutti i segni erano composti da termini arabi, rappresentati sia in caratteri latini che arabi.
I termini in conflitto erano “EL BAINA” da un lato (il marchio del Benelux contestato, rivendicante prodotti delle classi 29 e 30) e “EL BENNA” (classi 29, 30 e 32) e “EL BNINA” (classi 29 e 30) dall’altro (i marchi comunitari anteriori).
Quanto conta il pubblico di riferimento nel valutare la somiglianza tra marchi
Il giudice del rinvio osservava come i prodotti contraddistinti da tutti i marchi in questione fossero prodotti “halal”, preparati secondo il rito previsto dalla religione musulmana e, di conseguenza, destinati principalmente a un pubblico musulmano. Su tale base, il giudice del rinvio concludeva che il pubblico di riferimento dovesse essere individuato nei consumatori musulmani di origine araba, con una conoscenza base dell’arabo scritto.
Il punto centrale era determinare se, posta la somiglianza dei segni sotto il profilo visivo, occorresse attribuire rilievo alle differenze sul piano fonetico (diversa pronuncia) e semantico (diverso significato) che tali parole avevano nella lingua araba, sebbene l’arabo non sia una lingua di nessuno dei Paesi dell’Unione Europea.
Per stabilire quanto sopra, occorreva decidere quale fosse l’interpretazione da dare all’articolo 9, paragrafo 1, lett.b) del regolamento n. 207/2009, secondo il quale:
“Il marchio comunitario conferisce al suo titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio un segno che a motivo della sua identità o somiglianza col marchio comunitario e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio comunitario e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico; il rischio di confusione comprende il rischio di associazione tra segno e marchio”.
In particolare, alla Corte era sottoposta la seguente questione pregiudiziale:
“Se l’articolo 9, paragrafo 1, lett.b) del regolamento n.207/2009…debba essere interpretato nel senso che, nella valutazione del rischio di confusione tra un marchio comunitario in cui è predominante una parola araba e un segno in cui predomina una parola araba diversa ma somigliante sotto il profilo visivo, la differenza di pronuncia e di significato tra dette parole possa o addirittura debba essere esaminata e presa in considerazione dalle competenti autorità giurisdizionali degli stai membri, anche se l’arabo non è lingua ufficiale dell’Unione e dei suoi Stati membri”.
Cosa ha deciso la Corte di Giustizia in merito alla somiglianza tra marchi con parole arabe
La Corte di Giustizia ha deciso nei termini che seguono:
“L’articolo 9, paragrafo 1, lettera b) del regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio comunitario, deve essere interpretato nel senso che, per valutare il rischio di confusione che può sussistere tra un marchio comunitario e un segno, i quali contraddistinguono prodotti identici o simili e contengono entrambi una parola araba dominante in caratteri latini e arabi, essendo siffatte parole simili sul piano visivo, qualora il pubblico di riferimento del marchio comunitario e del segno in questione abbia una conoscenza di base dell’arabo scritto, il significato e la pronuncia di tali parole devono essere presi in considerazione”.
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