Il titolare di un marchio che abbia immesso in commercio i suoi prodotti non può opporsi alla loro libera circolazione negli Stati dell’Unione Europea o dello Spazio economico Europeo: si parla in questi casi di “esaurimento del diritto”.
In questo articolo parliamo di:
Esaurimento del diritto di proprietà industriale nella legge italiana
L’articolo 5, 1) del Codice Italiano della Proprietà Industriale dispone che:
“Le facoltà attribuite dal presente codice al titolare di un diritto di proprietà industriale si esauriscono una volta che i prodotti protetti da un diritto di proprietà industriale siano stati messi in commercio dal titolare o con il suo consenso nel territorio dello Stato o nel territorio di uno Stato membro della Comunità Europea o dello Spazio Economico Europeo”.
Esiste però una limitazione a tale principio (secondo comma dell’articolo 5) che dispone:
“Questa limitazione dei poteri del titolare tuttavia non si applica quando sussistano motivi legittimi perché il titolare stesso si opponga all’ulteriore commercializzazione dei prodotti, in particolare quando lo stato di questi è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio”.
La limitazione al principio di esaurimento del diritto
Un’interessante e recente interpretazione dei limiti dell’esaurimento del diritto è stata elaborata dal Tribunale di Roma, (ordinanze del 29 ottobre 2012 e del 10 gennaio 2013), che, richiamando e applicando la giurisprudenza comunitaria, ha affermato come l’articolo 7 della direttiva comunitaria 2008/95
“deve essere interpretato nel senso che il titolare del marchio può opporsi all’ulteriore commercializzazione di un prodotto quando l’importatore parallelo abbia realizzato una nuova confezione del prodotto, che sia idonea a nuocere alla reputazione del marchio e a quella del suo titolare, per cui la confezione o l’etichetta non devono essere difettose, di cattiva qualità o grossolane”
(Corte Giustizia 26.04.2007, causa C-384/04)
e che
“un prodotto riconfezionato potrebbe presentarsi in modo inadeguato e, pertanto, nuocere alla reputazione del marchio, nel caso in cui la confezione o l’etichetta, pur non difettose, né di cattiva qualità, né grossolane, siano tali da compromettere il valore del marchio, danneggiando l’immagine di serietà e di qualità collegata a tale prodotto, nonché la fiducia che quest’ultimo può ispirare al pubblico interessato”
(Corte di Giustizia 4.11.1997, causa C-337/95).
Nel caso all’esame del Tribunale di Roma, le società ricorrenti, titolari dei marchi “Chupa Chups”, Big Babol” e “Mentos”, avevano agito per contraffazione contro una società italiana, importatrice dei loro prodotti, lamentandone una rietichettatura inadeguata, con conseguente danno all’immagine professionale delle ricorrenti e svilimento del marchio.
Il Tribunale di Roma ha accolto le pretese delle ricorrenti evidenziando come,
“nel caso in esame, le etichette applicate dalla società resistente sui prodotti di importazione presentano caratteristiche tali da nuocere alla reputazione dei marchi in questione, in quanto per materiali, colori, dimensioni e rifiniture si pongono in contrasto con le confezioni originali dei prodotti importati, particolarmente curate nella tipologia di carta utilizzata, nella grafica e nei colori”.
Esaurimento del diritto di proprietà industriale nella Direttiva UE 2015/2436
Anche in ambito dell’Unione Europea l’articolo 15 della Direttiva UE 2015/2436 dispone che:
“Un marchio d’impresa non dà diritto al titolare dello stesso di vietarne l’uso per prodotti immessi in commercio nell’Unione con detto marchio dal titolare stesso o con il suo consenso.
Il paragrafo 1 non si applica quando sussistono motivi legittimi perché il titolare si opponga all’ulteriore commercializzazione dei prodotti, in particolare quando lo stato dei prodotti è stato modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio”.
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