La Corte di Cassazione ha recentemente ribadito un principio pacifico in giurisprudenza, cioè che anche la vendita di prodotti recanti marchi chiaramente falsi costituisce reato ai sensi dell’articolo 474 del codice penale.
In questo articolo parliamo di:
La normativa di riferimento sul falso d’autore
L’articolo 474 del codice penale punisce sia la condotta di chi introduce nel territorio dello Stato, al fine di trarne profitto, prodotti industriali con marchi o altri segni distintivi, nazionali o esteri, contraffatti o alterati (pena della reclusione da uno a quattro anni e multa da Euro 3.500 a Euro 35.000) sia quella di chi detiene per la vendita, pone in vendita o mette altrimenti in circolazione, al fine di trarne profitto, prodotti industriali con marchi o altri segni distintivi, nazionali o esteri, contraffatti o alterati (pena della reclusione fino a due anni e multa fino a Euro 20.000).
La giurisprudenza riconosce che il reato si configura anche quando la contraffazione è grossolana.
Falso d’autore e tutela della fede pubblica
Ciò che la legge vuole tutelare è, infatti, la fede pubblica intesa come “affidamento dei cittadini nei marchi e nei segni distintivi”.
Nella sentenza n. 28423 del 27 aprile 2012 la Corte aveva già avuto modo di affermare che:
“L’interesse giuridico tutelato dagli art.473 e 474 cod.pen. è la pubblica fede in senso oggettivo, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi o segni distintivi che individuano le opere dell’ingegno o i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione, e non l’affidamento del singolo, sicché, ai fini dell’integrazione dei reati non è necessaria la realizzazione di una situazione tale da indurre il cliente in errore sulla genuinità del prodotto; al contrario, in presenza di una contraffazione, i reati sono configurabili anche se il compratore sia stato messo a conoscenza dallo stesso venditore della non autenticità del marchio”.
La Cassazione nella sentenza n. 14090 dell’8 aprile 2015, afferma che il reato si configura anche quando:
“la falsità della merce venduta si presenta in modo chiaro ed evidente, proprio in ragione del fatto che l’apposizione del marchio è strumentale a garantire la leale circolazione delle merci sul mercato economico”.
Ciò che la legge vieta è la riproduzione del marchio registrato su un prodotto industriale e la Corte di Cassazione precisa come:
“La confusione che la norma vuole scongiurare è tra i marchi e non tra prodotti, cioè tra quello registrato e quello illecitamente commercializzato in forma dichiaratamente decettiva, dal momento che ciò che la legge punisce è la riproduzione – senza averne titolo – del marchio registrato su di un prodotto industriale; …la dicitura falso d’autore non svuota di valenza penale la contraffazione, restando la fattispecie integrata dalla (ontologicamente ingannevole) riproduzione illecita del marchio registrato …posto che la mera riproduzione è da sola sufficiente ad integrare l’ipotesi delittuosa”.
Anche in passato (Corte di cassazione n. 14876 del 9 gennaio 2009) la Corte di Cassazione si era pronunciata per l’integrazione del reato di cui all’articolo 474 del codice penale pur in presenza della dicitura “copia d’autore” su prodotti recanti marchi contraffatti, in quanto
“si tratta di un reato di pericolo per la cui integrazione è necessaria soltanto l’attitudine della falsificazione a ingenerare confusione, con riferimento non solo al momento dell’acquisto, ma anche a quello della successiva utilizzazione”.
Altre sentenze sul falso d’autore
Vi sono molte altre sentenze della Cassazione che affermano questo stesso principio – cioè che è reato anche la vendita di merce che è chiaramente falsa – e tra queste citiamo, solo a titolo esemplificativo, le seguenti:
Cassazione n. 15080 del 12 gennaio 2012:
“va qui ribadito che l’apposizione della dicitura “falsi d’Autore” su prodotti industriali recanti marchi contraffatti non esclude l’integrazione del reato di cui all’art. 474 c.p. (Cass.pen., sez.5, 25.09.2008, n.40556 con riferimento all’apposizione della diversa dicitura “fac simile”); infatti il reato in esame configura una fattispecie di pericolo contro la fede pubblica per la cui integrazione è sufficiente anche la sola attitudine della falsificazione ad ingenerare confusione, con riferimento non solo al momento dell’acquisto, ma anche a quello della successiva utilizzazione del prodotto contraddistinto dal marchio contraffatto. Di qui consegue che non può parlarsi di reato impossibile là dove la contraffazione sia grossolana o anche ove le condizioni di vendita – per il prezzo praticato, il luogo di esposizione, le caratteristiche personali del venditore – siano tali da escludere la possibilità ragionevole che i clienti vengano tratti in inganno”.
Cassazione n. 49643 del 28 novembre 2014:
“…Si condivide l’orientamento secondo cui in materia di contraffazione di marchi integra il delitto di cui all’articolo 474 cp la detenzione per la vendita di prodotti recanti marchio contraffatto senza che abbia rilievo la configurabilità della contraffazione grossolana, considerato che l’articolo 474 cp tutela, in via principale e diretta, non già la libera determinazione dell’acquirente, ma la fede pubblica…: si tratta di un reato di pericolo, per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell’inganno non ricorrendo quindi l’ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanità della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti siano tratti in inganno”.
Cassazione n. 33543 del 5 ottobre 2016:
“Integra il delitto di cui all’articolo 474 cod.pen. la vendita di prodotti falsamente contrassegnati ed esposti insieme a quelli originali; né, a tal fine, ha rilievo la circostanza che gli acquirenti possano avere consapevolezza della falsità del marchio … non rileva che il singolo acquirente sia effettivamente ingannato o addirittura consapevole della falsità, ma solo che il marchio contraffatto sia idoneo a fare falsamente apparire il prodotto come proveniente da un determinato produttore”.
Reato anche se avvertite il compratore che vendete un falso
Anche il venditore che avverte il compratore della non autenticità del marchio commette reato
“giacché l’incriminazione mira per l’appunto non a garantire il singolo acquirente come tale, bensì la circolazione dei beni contraddistinti da marchi registrati”
(Cass. n. 28423 del 27 aprile 2012).
La Cassazione specifica come
“la norma incriminatrice tutela, in via principale e diretta, non già la libera determinazione dell’acquirente, ma la fede pubblica in senso oggettivo, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e nei segni distintivi, che individuano le opere dell’ingegno e i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione anche a tutela del titolare del marchio; si tratta, pertanto, di un reato di pericolo, per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell’inganno, non ricorrendo quindi l’ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanità della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti possano essere tratti in inganno”.
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