Può capitare, soprattutto a coloro che abbiano attivato un servizio di sorveglianza sul loro marchio e siano quindi in grado di scoprire se vengono presentate domande di marchi identici o simili al proprio, che si smascheri un rappresentante, un agente o un distributore che sta tentando di registrare il nostro marchio (o uno simile) …in assenza della nostra autorizzazione!
Cosa fare in questi casi di evidente malafede?
Il Regolamento sul Marchio dell’Unione Europea (articolo 8, paragrafo 3, del regolamento 2017/1001) dispone che una domanda di marchio possa essere esclusa dalla registrazione
“…se l’agente o il rappresentante del titolare del marchio presenta la domanda a proprio nome e senza il consenso del titolare…”.
e che (articolo 59, paragrafo 1, lettera b, motivi di nullità assoluta)
“Su domanda presentata all’ufficio o su domanda riconvenzionale in un’azione per contraffazione, il marchio UE è dichiarato nullo allorché al momento del deposito della domanda di marchio il richiedente ha agito in malafede”.
Un primo problema è capire se il divieto riguardi effettivamente solo gli agenti ed i rappresentanti o se si estenda anche ad altre figure.
Una recente sentenza della Corte di Giustizia (sentenza 11 novembre 2020, C-809/18 P) ci aiuta a comprendere meglio gli esatti confini di questa ipotesi e in particolare a rispondere al seguente quesito:
cosa si intende per “agente o rappresentante non autorizzato”?
La Corte evidenzia come le nozioni di “agente” e “rappresentante” debbano essere interpretate estensivamente, per scoraggiare quanto più possibile chi intenda danneggiare il titolare di un marchio.
L’interpretazione, quindi, deve
“ricomprendere ogni tipo di rapporto fondato su un accordo contrattuale ai sensi del quale una delle parti rappresenta gli interessi dell’altra, cosicché è sufficiente, ai fini dell’applicazione di tale disposizione, che esista tra le parti un accordo di cooperazione commerciale tale da creare un rapporto di fiducia che imponga al richiedente, esplicitamente o implicitamente, un obbligo generale di fiducia e di lealtà nei riguardi degli interessi del titolare del marchio”
(punto 85 della sentenza).
Nel caso che ha dato origine alla pronuncia in esame vi era tra le due parti un contratto di distribuzione.
La sentenza è interessante anche perché fa luce su un altro dubbio generato dalla lettura delle norma:
il divieto in capo all’agente e al rappresentante non autorizzato riguarda solo il deposito di marchi identici a quelli del legittimo titolare del marchio oppure si estende anche ai marchi simili?
Riguardo alla identità/somiglianza tra marchi, la Corte di Giustizia evidenzia come l’articolo 8 persegua l’obiettivo di
“evitare la sottrazione del marchio anteriore da parte dell’agente o del rappresentante del relativo titolare, poiché l’agente o il rappresentante potrebbe sfruttare le conoscenze e l’esperienza acquisite durante la relazione commerciale con il titolare traendo, pertanto, un indebito profitto dal lavoro e dagli investimenti effettuati dallo stesso titolare del marchio”. (punto 72 della sentenza)
e sottolinea come
“non si possa ritenere che tale sottrazione possa verificarsi solo nei casi in cui il marchio anteriore e quello richiesto dall’agente o rappresentante siano identici e non anche quando i marchi in conflitto sono simili”
(punto 73 della sentenza).
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