Alcuni interessanti spunti in materia di malafede si rinvengono nella sentenza del Tribunale UE dell’11 luglio 2013 (causa T-321/10) dove si evidenzia come la violazione dei principi di lealtà e correttezza possano portare alla nullità del marchio.
Di seguito indicheremo con “A” la società che ha presentato la domanda di marchio dell’Unione Europea contestato e “B” la società che ha agito per farne dichiarare la nullità.
La vicenda trae origine dal deposito di una domanda di marchio comunitario da parte della società A. Il segno depositato era pressoché identico ad un marchio non depositato né registrato ma utilizzato da alcuni anni in Italia dalla società B nel campo delle costruzioni e delle opere di ingegneria.
Per completare la descrizione, evidenziamo che:
- gli amministratori della società A erano anche membri del Consiglio di Amministrazione della società B;
- la società A deteneva un’importante partecipazione nel capitale della società B;
- in Italia esisteva un contenzioso tra le due società già al momento della presentazione della domanda di marchio dell’Unione Europea.
Nell’esaminare il caso di specie il Tribunale richiama più volte la sentenza Lindt Goldhase della Corte di Giustizia e le sue precisazioni relative alle modalità occorrenti nell’interpretazione del concetto di malafede.
Nell’opinione della Corte:
“ai fini della valutazione dell’esistenza della malafede del richiedente occorre prendere in considerazione tutti i fattori pertinenti propri del caso di specie ed esistenti al momento del deposito della domanda di registrazione di un segno come marchio dell’Unione Europea comunitario e, in particolare, in primo luogo, il fatto che il richiedente sappia o debba sapere che un terzo utilizza, in almeno uno Stato membro, un segno identico o simile per un prodotto o servizio identico o simile e confondibile con il segno di cui viene chiesta la registrazione; in secondo luogo, l’intenzione del richiedente di impedire a detto terzo di continuare a utilizzare un siffatto segno, nonché, in terzo luogo, il grado di tutela giuridica di cui godono il segno del terzo ed il segno di cui viene chiesta la registrazione”.
Gli elementi sopra indicati non sono necessariamente gli unici che debbono ricorrere affinché la malafede possa ritenersi sussistente, ma sono tra i fattori che possono essere presi in considerazione nella formulazione di tale giudizio.
Nel caso sottoposto alla valutazione del Tribunale era pacifico (né fu mai negato nel corso dei vari gradi di giudizio) che la società A fosse a conoscenza dell’uso che la società B faceva di un segno fortemente simile al marchio poi depositato.
Il Tribunale evidenzia, però, che la sola conoscenza dell’esistenza di un marchio identico o simile utilizzato per prodotti identici o simili non è di per sé sufficiente a dimostrare la malafede. A questo proposito è invece molto importante valutare quale fosse l’intenzione del richiedente al momento del deposito della domanda di marchio. Secondo l’orientamento interpretativo dell’EUIPO l’intenzione del richiedente il marchio può essere dedotta dalle circostanze oggettive del caso di specie, tra le quali:
“ruolo o posizione rivestita, relazioni di natura contrattuale, precontrattuale o post contrattuale che intratteneva con l’altra parte, esistenza di doveri o obblighi reciproci, inclusi quelli di lealtà e correttezza scaturenti dall’aver ricoperto o dal ricoprire ancora cariche sociali o funzioni direttive all’interno dell’impresa del richiedente…e, più in generale, da tutte le situazioni di conflitto d’interessi in cui il richiedente il marchio si è trovato ad operare”.
Tra le circostanze oggettive che non deponevano a favore della società A vi erano anche quelle di natura temporale, ovvero, specificamente, non solo il fatto di aver presentato la domanda di marchio dopo che era già iniziato il contenzioso in Italia con la società B ma anche di averlo fatto dopo che la società B aveva aumentato considerevolmente il suo volume di affari e la sua notorietà grazie al proprio marchio, circostanza, quest’ultima che non poteva essere ignota alla società A nella sua posizione di azionista della società B.
Alla luce di tutti gli elementi elencati il Tribunale confermava la decisione della Commissione dei Ricorsi e affermava la nullità del marchio contestato in quanto depositato in violazione dei principi di lealtà e correttezza.


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