Marchio in malafede nella giurisprudenza italiana
L’articolo 19, 2) del Codice della Proprietà Industriale dispone che:
“Non può ottenere una registrazione per marchio di impresa chi abbia fatto la domanda in mala fede”.
In concreto, in quali casi è possibile ravvisare un’ipotesi di marchio in malafede?
La Corte d’Appello di Milano (sentenza del 9.12.2013, causa iscritta a n r.g. 263/2011) precisa al riguardo che:
“È pacifico che il deposito in malafede è solo quello di chi sappia di (poter) violare un diritto altrui, mentre altra cosa è il deposito di chi conosce l’esistenza di un marchio precedente, ma non pensa di violarlo per un ragionevole motivo”.
La consapevolezza di poter ledere il diritto altrui è, quindi, presupposto e parte integrante dell’ipotesi di mala fede; il concetto è ribadito più volte dalla giurisprudenza. Si veda, a solo titolo di esempio, il Tribunale di Roma (sentenza del 17.02.2016, causa iscritta a n.64105 R.G.A.C. dell’anno 2013) secondo il quale
“La mala fede considerata dall’articolo 19 CPI fa notoriamente riferimento alla registrazione in prevaricazione da parte di soggetti già a conoscenza del contenuto e dell’oggetto del marchio ovvero con modalità manifestamente fraudolente”.
Marchio in malafede nella giurisprudenza europea
Nel caso del marchio dell’Unione Europea, la malafede è motivo di nullità assoluta del marchio. Dispone l’articolo 59, 1) lettera b del regolamento n.2017/1001:
“Su domanda presentata all’Ufficio o su domanda riconvenzionale in un’azione per contraffazione, il marchio UE è dichiarato nullo allorché al momento del deposito della domanda di marchio il richiedente ha agito in malafede”.
Identica disposizione era prevista dall’articolo 51, 1) lettera b) del precedente regolamento comunitario 40/94, che fu oggetto di interpretazione da parte della Corte di Giustizia nella sentenza dell’11.06.2009 (causa C-529/07), nella si quale chiarì che ai fini della valutazione dell’esistenza della malafede del richiedente del marchio dell’Unione Europea occorre considerare tutti i fattori pertinenti esistenti al momento del deposito della domanda di marchio, in particolare:
- Il fatto che il richiedente sappia o debba sapere che un terzo utilizza, in almeno uno Stato membro, un segno identico o simile per un prodotto identico o simile e confondibile con il segno di cui viene chiesta la registrazione;
- La presunzione che il richiedente sia a conoscenza dell’utilizzo da parte di un terzo di un segno identico o simile… può risultare in particolare da una conoscenza generale di un siffatto utilizzo nel settore economico interessato, laddove tale conoscenza può essere dedotta, in particolare, dalla durata di un siffatto utilizzo. Infatti, più tale utilizzo è vecchio, più è verosimile che il richiedente ne fosse a conoscenza al momento del deposito della domanda di registrazione. Tuttavia, detta presunzione non è sufficiente, di per sé, perché sia dimostrata l’esistenza della malafede del richiedente.
- L’intenzione del richiedente di impedire a tali terzi di continuare ad utilizzare un siffatto segno.
- L’intenzione di impedire ad un terzo di commercializzare un prodotto può, in talune circostanze, caratterizzare la malafede del richiedente, in particolare qualora quest’ultimo non abbia intenzione di utilizzare il segno, ma desideri unicamente impedire che un terzo entri nel mercato.
- Il grado di tutela giuridica di cui godono il segno del terzo ed il segno di cui viene chiesta la registrazione.
Il tema della malafede è stato di recente oggetto nella battaglia legale del marchio di Bansky. A detta dell’EUIPO, infatti, il noto artista “anonimo” avrebbe
agito in malafede e registrato il marchio solo per non uscire dall’anonimato.
In questo articolo, è raccontata l’intera vicenda: Banksy perde una battaglia legale sul marchio: l’artista avrebbe “agito in mala fede”.
Qualora riteniate che un vostro concorrente abbia registrato un marchio in malafede, contattate lo Studio Legale dell’Avv. Eva Troiani che vi darà tutte le informazioni sul da farsi.
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