Si definisce distintivo quel segno idoneo ad identificare un prodotto, un servizio o un’impresa per differenziarlo dalla concorrenza agli occhi del pubblico dei consumatori.
Quindi, qualora il segno presentasse assenza del carattere distintivo, non verrà riconosciuto dagli organi competenti come marchio valido ed efficace e non potrà pertanto essere registrato.
Riportiamo alcune sentenze per far comprendere meglio il concetto.
L’EUIPO dice no alla registrazione come marchio di Charlot
Con decisione del 3 gennaio 2023 (appellabile fino al 3 marzo 2023) nei confronti della domanda di marchio europeo n. 018141170, l’Ufficio dell’Unione Europea per la Proprietà Intellettuale ha negato la possibilità di registrare come marchio l’immagine di Charlot, in quanto:
- Data l’eccezionale reputazione della persona rappresentata, il consumatore di riferimento, vale a dire il pubblico in generale e le imprese, i professionisti e gli specialisti…riconosceranno attraverso questa rappresentazione il celebre personaggio comico Charlot, interpretato al cinema da Charlie Chaplin (1889-1977) tra il 1913 e il 1916;
- Il personaggio comico e iconico di Charlot, un famoso vagabondo apprezzato da pubblico di tutto il mondo e la cui fama riecheggia la celebrità del suo creatore Charlie Chaplin (1889-1977) incarna e trasmette valori moderni, liberali e umanisti estremamente positivi, denunciando in particolare l’alienazione dell’uomo a causa della macchina (1936, Tempi Moderni) e ridicolizzando il totalitarismo e l’ideologia nazista (1940, Il Grande Dittatore)
L’Ufficio sostiene la mancanza del carattere distintivo di un marchio di questo tipo, perché il pubblico, pur certamente valutando in modo positivo l’immagine di Charlot, non collegherebbe la sua effigie a nessuna azienda in particolare: verrebbe pertanto a mancare la funzione primaria del marchio, cioè la capacità di instaurare un collegamento tra prodotti (e/o servizi) e una determinata azienda produttrice.
Tutto ciò che potrà fare l’immagine di Charlot sarà contribuire a rendere più attraenti i prodotti e i servizi contraddistinti dalla sua immagine, ma non identificarne l’origine.
A tal proposito, in particolare, l’Ufficio dichiara che:
Il pubblico di riferimento, che percepisce l’immagine familiare e umoristica del carattere Charlot in una luce favorevole rispetto ai valori moderni, liberali e umanisti con cui è associato, percepirà il segno come rappresentazione pubblicitaria di questo personaggio interpretato da Charlie Chaplin (1889-1977), il cui unico scopo è quello di incitare o causare l’acquisto del prodotto o la sottoscrizione del servizio. Questo segno non sarà percepito dal pubblico di riferimento come indicativo dell’origine commerciale di detti prodotti e servizi.
Marchio privo di carattere distintivo: il caso del “Fiore all’occhiello”
La sentenza del Tribunale UE 14/03/2014 causa T-131/13 fornisce l’esempio di un’applicazione concreta del principio stabilito dall’articolo 7, paragrafo 1), lettera b) del regolamento sul marchio dell’Unione Europea (impedimenti assoluti), secondo il quale:
“Sono esclusi dalla registrazione i marchi privi di carattere distintivo”.
Nel marzo del 2011 una società italiana presentava una domanda di registrazione di marchio comunitario (ora marchio dell’Unione Europea) che, in base alla descrizione che ne veniva data, consisteva in “un fiore stilizzato tridimensionale apposto sul bavero dell’indumento” per i seguenti prodotti della classe 25: giacche, giacconi, cappotti, soprabiti e impermeabili.
Sia l’Esaminatore che la Commissione Ricorsi, adita a seguito del rifiuto di registrazione del marchio, ritenevano che il marchio in questione non fosse registrabile in quanto privo del carattere distintivo e affermavano che lo stesso sarebbe stato percepito dal pubblico di riferimento come un semplice ornamento e una decorazione e non come un marchio, in quanto
“rappresentava un elemento comunemente utilizzato per ornare i prodotti rivendicati”.
Nella loro opinione, al fiore apposto sul bavero della giacca i consumatori avrebbero assegnato una funzione esclusivamente decorativa.
Il Tribunale confermava quanto stabilito dall’Esaminatore e dalla Commissione Ricorsi, sottolineando che è notorio che un fiore – sia esso vero o di stoffa – possa adornare un occhiello posto sul bavero di un indumento. Il consumatore, quindi, non potrebbe considerare tale elemento come segno distintivo idoneo a distinguere la merce di un produttore da quella dei suoi concorrenti.
Marchio privo di capacità distintiva: il caso del “buddha bar buddha cafè”
La Corte di Cassazione (sezione I, 25 gennaio 2016, sentenza n.1277) ha confermato la sentenza della Corte di Appello di Milano che aveva dichiarato la nullità dei marchi Buddha Bar Buddha Cafè per carenza di idoneità distintiva e per contrarietà all’ordine pubblico, in quanto offensivi del sentimento religioso buddista.
Per quanto riguarda il requisito della capacità distintiva, i giudici hanno ribadito che è indispensabile che il significato del nome e, più in generale, della parole utilizzate nel marchio sia idoneo a identificare un prodotto o un servizio come proveniente da una determinata impresa e che, quindi:
“un marchio anche denominativo può essere nullo sia quando i nomi utilizzati non siano idonei ad indicare la provenienza di un prodotto, sia quando, pur essendo i nomi idonei a denotare la provenienza del prodotto, non valgano a distinguerlo da altri prodotti simili” .
I giudici di merito avevano ritenuto che i marchi BUDDHA BAR BUDDHA CAFÈ sono privi di capacità distintiva perché la parola BUDDHA
“non evoca solo una religione, ma comunica adesione o comunque interesse per una filosofia e uno stile di vita connotativi di un costume pertinente ormai alle più diverse manifestazioni dell’agire sociale, dalla letteratura alla musica, dalle arti figurative alla cucina, tanto da essere divenuto una moda”
e che
“lo stesso accostamento del termine Buddha ai termini bar o cafè non è affatto anomalo o inusuale, essendo questi luoghi di ritrovo tradizionalmente ricollegabili nella tradizione culturale dell’occidente anche a particolari espressioni della letteratura o più in generale dell’arte”.
Per questa ragione, l’accostamento della parola “BUDDHA” a termini descrittivi come “BAR” o “CAFFÈ’” (quando utilizzati per contraddistinguere tale tipologia di servizi) non può essere oggetto di un valido diritto di marchio, in quanto forma un’espressione priva di capacità distintiva.
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